5.3.07

PATRIZIA (M 41 STRADA DEL PAMIR, 22/02/2007 - 5/03/2007)

Un saluto a tutti!

Bishkek, lunedi' 5 marzo 2007, ore 14.25.
Vi scrivo da uno dei tanti internet cafe' lungo le strade di
questa citta'...

Giovedi' 22 febbraio Zarina, la figlia di Sadullo, ci
riconsegna i nostri passaporti con il permesso per il GBAO,
necessario per percorre la strada del Pamir (la M41 da
Kalaikhum a Karakul), e la registrazione del visto tagiko
fatta presso un albergo invece che all'OVIR, valida solo per
le due notti passate a Dushanbe (andra' bene lo
stesso?!...lo scopriremo in seguito!).
Lo stesso giorno partiamo da Dushanbe diretti a Kalaikhum
sulla strada per il Pamir. La strada gia' dopo non molti
chilometri diventa piena di buche e in molti tratti
sterrata. Dopo un centinaio di chilometri incontriamo un
bivio e senza dare troppa importanza alla stradina minuscola
alla nostra destra proseguiamo dritti. Dopo una 30 di km
vediamo un cartello che indica due citta' che non dovrebbero
essere sulla nostra strada. Abbiamo sbagliato strada.
Torniamo indietro e imbocchiamo la stradina che non avevamo
preso in considerazione. Dopo appena due chilometri entriamo
in una valle piuttosto inquietante, la stradina, che in
alcuni punti sembra franare da un momento al altro nel fiume
in mezzo alla valle, diventa sterrata, piena di neve, piu'
stretta e si inerpica su un lato della montagna. Sono gia'
le sei di sera e sta per diventare buio. Sembra passare una
vita per percorrere 10 chilometri. In mezzo al nulla dopo
una dozzina di chilometri compare davanti ai nostri occhi un
villaggio privo di corrente elettrica.

Cerchiamo ospitalita'. Un uomo di mezza eta' ci fa
accomodare nella sua casa.
Nella stanza ci sono sua moglie ed i suoi cinque
figli. Una stufa, dei tappeti per terra e sulle pareti fanno
d'arredamento. Ci sediamo su dei cuscini per terra e davanti
a noi viene distesa una tovaglia. Ci offrono del te e una
zuppa di riso. Noi mangiamo con il papa', mentre moglie e
figli si siedono in un'altra parte della stanza. Finita la
cena il padre musulmano si mette a pregare in mezzo al caos
che fanno i bimbi. Ci chiedono se siamo sposati, se abbiamo
dei figli e la nostra eta' (domande consuete!). Per loro e'
un onore avere tanti figli e il fatto che noi alla "nostra"
eta' (!!!) non abbiamo ancora figli li lascia un po'
stupiti. Pero' dicendogli che al ritorno in Italia faremo
dei bimbi gli rissoleviamo il morale. Alle nove, dopo aver
fatto i nostri bisogni nella latrina dietro la casa, veniamo
accompagnati in un'altra stanza dove ci hanno preparato il
letto, coperte distese su dei tappeti, e acceso la stufa. Il
mattino alle sette veniamo svegliati dalle voci dei bambini
che giocano fuori. Un bimbo apre la porta della nostra
stanza e resta per un po' fermo incantato sulla porta.La
figlia piu' grande mi da dell'acqua scaldata sulla stufa per
lavarmi le mani e il viso. Poi entriamo in casa dove ci
viene offerta una zuppa e del te' per colazione. Dopo
un'oretta arriva praticamente meta' paese a salutarci. Tutte
le donne vengono verso di me, mi sorridono e mi danno la
mano. Fatte delle foto di gruppo con la polaroid e
ringraziato e salutato per l'ospitalita' ci dirigiamo verso
la Suzukina. Tanti ci seguono fino alla macchina. Con un po'
di magone li salutiamo nuovamente, partiamo e andiamo verso
Kalaikhum.

Dopo nemmeno 10 km, su quella strada apparentemente in mezzo
al nulla, un signore anziano con una lunga barba bianca ed
un bastone ci chiede un passaggio per una ventina di km. Io
mi siedo nel bagagliaio e ripartiamo. Il signore scende
davanti ad una moschea (probabilmente l'unica nella valle) e
ci ringrazia mettendosi una mano sul petto. Lungo le strade
in Tagikistan tanti ci saluteranno tenendo la mano sul petto
e facendoci un cenno col capo. A Tavildara, fatti un'altra
40 di km, scopriamo che il passo Khaburabot (3252 m) e'
chiuso. Si torna indietro fino a Kofarnikhon, un paese 20 km
dopo Dushanbe, da dove e' possibile fare un'altra strada per
arrivare a Kalaikhum.

Sabato 24, dopo aver dormito a Kofarnikhon, in una
"gostinitsa" (hotel) per un euro e mezzo a testa,
ripartiamo. Si prova a fare l'altra strada. Una strada che
inizia con un asfalto impeccabile. Dubitiamo possa essere la
strada giusta. Passiamo da Nurek, Dangara, Kulyab e infine
giungiamo a Shurabad. Qui, in due posti di blocco, prima uno
militare e poi uno della polizia ci controllano i passaporti
e ci registrano (scrivono su dei fantomatici quaderni i
nostri dati). Dopo Shurabad inizia la strada un po'
asfaltata e un po' sterrata che costeggia il confine
afghano. A separare Tagikistan e Afghanistan solo il fiume
Pyanj. Lungo la strada incontriamo pochi villaggi, greggi di
pecore, capre, mucche, cavalli e cartelli di progetti per lo
sviluppo di alcune aree, finanziati da Unione Europea, WWF
ed altri enti. Dopo una trentina di km lungo le sponde del
fiume, sia afghane che tagike, vediamo dei camion
parcheggiati e uomini che portano merce da una sponda
all'altra (chissa' cosa contrabbandano?). Il Tagikistan
meridionale e la regione del Pamir sono aree criciali lungo
le vie del contrabbando di droga attraverso l'Asia Centrale.
Ci sono numerosi posti di blocco e ogni tanto s'incontrano
giovani militari che camminano lungo la strada. Diventa buio
e la strada s'inerpica lungo una stretta valle. Ad un posto
di blocco ci chiedono tre litri di benzina per far
funzionare il loro generatore. Chissa' quanti km dobbiamo
ancora percorrere per arrivare a Kalaikhum?...sulla cartina
non sono segnati e da quelli a cui chiediamo ci vengono date
informazioni troppo differenti! Al nono posto di blocco
della giornata, verso le 8 di sera, ci controllano i
passaporti e mancando la corrente elettrica, Claudio deve
accendere la sua pila per fare luce all'ufficiale che scrive
i nostri dati sui registri. Chiediamo all'ufficiale quanti
chilometri mancano per Kalaikhum e ci viene risposto 65.
Rimaniamo un po' stupiti dalla decisione con cui ci vengono
detti i km. Pensavamo che ne mancassero massimo una
trentina. Un po' sconsolati proseguiamo pensando di fermarci
a dormire prima della nostra meta.
Dopo nemmeno un chilometro inizia una strada di asfalto nero
e liscio, con i marciapiedi (i marciapiedi!!), cartelli
stradali, i catadriotti a lato della strada, il nome di
inizio e fine di ogni paese scritto in tre lingue, muri a
lato della strada per le frane e muretti all'altro lato per
il fiume...sembra un miraggio. All'inizio non ne capiamo il
motivo ma poi guardando l'altra sponda realizziamo: in quel
tratto di Afghanistan i villaggi hanno l'elettricita', non
si sa se creata da generatori o fili della corrente
elettrica ma hanno tanta luce. Non finisco nemmeno di
pronunciare le seguenti parole: "chissa' quanto dura
questa..." - e la strada diventa piena di buche e sterrata -
"...meravigliosa strada?!". Alle 10 di sera arrviamo a
Kalaikhum dove alloggiamo in un affittacamere del MSDSP
(Progetto di sostegno per lo sviluppo delle comunita'
montane, che ha dei programmi per lo sviluppo del turismo
locale).

Domenica mattina (il 25), dopo esserci registrati presso la
stazione di polizia, ci dirigiamo verso Khorog. Lungo tutto
il tragitto della giornata costeggiamo ancora il fiume che
ci divide dall'Afghanistan, dove ci sono villaggi di tanto
in tanto e un sentiero che costeggia tutto il fiume. In
alcuni punti e' scavato nella roccia con sostegni di paglia
e fango. In un tratto vediamo degli afghani che percorrono
il tragitto con un asinello, che viene scaricato dei bagagli
nei punti piu' brutti del sentiero.
A lato della strada fra Kalaikhum e Khorog vediamo spesso
dei cartelli gialli, che con un immagine di una gamba
spezzata e delle scritte in cirillico, segnalano mine
antiuomo nei terreni circostanti la strada. Primi di vederli
pensavo di fare i miei bisogni nel prato. Poi starmene
attaccata alla macchina m'e' sembrata un'idea migliore!

La sera arrivati a Khorog (2100 m) cerchiamo un alloggio che
abbia una doccia calda. La scelta e' forzata...c'e' solo un
alloggio del MSDSP che costa un po' caro rispetto al solito.
Ma abbiamo troppo bisogno di lavarci. Qui c'e' la corrente
elettrica ma alle 9 sotto la doccia scopro che la staccano!
Finisco di lavarmi al buio e torno in camera dove c'e'
Claudio con una lampada a petrolio.

Lunedi' 26 ci svegliamo e sul finestrino della macchina
troviamo una curiosa scritta: "ciao da un altro genovese"
(Oggi abbiamo scoperto che si chiama Fabrizio, lavora in
Asia Centrale ed ora e' anche lui qui a Bishkek, ha mangiato
oggi a pranzo nello stesso posto dove abbiamo mangiato noi
ieri sera ma non l'abbiamo incontrato!). Ci rechiamo presso
l'OVIR di Khorog dove ci viene fatta pagare la registrazione
perche' non abbiamo la registrazione dell'OVIR di Dushanbe
(pensiamo a Zarina!).
Ripartiamo da Khorog e in quattro ore arriviamo a Jelandy.
In questo paese a 3500 metri alloggiamo in un albergo deserto.
C'e' acqua termale e un gatto che gli fa da custode. Entra con
noi in stanza e si fa fare un po' di coccole. Poi si piazza davanti
ad un buco nel muro nel corridoio dove spera esca un topo,
ma probabilmente il topo s'e' gia' trasferito a temperature
piu' miti da tempo! Qui io ho un po' di mal di montagna,
giramento di testa e nausea, ma il mattino sto gia' meglio.
Claudio e' un po' febbricciante lungo tutta la strada del
Pamir, debilitato maggiormente dall'altitudine elevata. La
mattina la Suzukina fa un po' fatica a partire ma poi ce la
fa.

Martedi' 27 nel pomeriggio, dopo un altro controllo
passaporti, arriviamo a Murgab. Qui ci rechiamo all'ONG
Acted (ha un progetto che prevede alloggi presso privati: da
6 a 10 dollari per persona per notte, 1,50 dollari per la
colazione e 2,25 dollari per ogni pasto), che ci trova un
alloggio presso un affittacamere privato. La mattina dopo
scopriamo che nella camera a fianco alla nostra, la sera prima,
sono arrivati due ragazzi francesi. Facciamo colazione con
loro e raccontano che lavorano presso una ONG a Kabul e
trascorreranno sul Pamir dieci giorni di vacanza. Si
riparte! Ci attendono i 4655 metri (il punto piu' alto della
strada del Pamir) del passo Ak-Baital. Prima di salire sul
passo sentiamo un rumore anomalo provenire dalla
Suzukina...s'e' rotto un foglio di una balestra della ruota
anteriore destra. Nel pomeriggio dopo l'ennesimo posto di
controllo passaporti prima di una citta', dove gli ufficiali
volevano vendere a Claudio dei rubini grezzi arriviamo a
Karakul. Questo villaggio che sorge sull'omonimo lago
(immenso e ghiacciato per sette mesi all'anno anche essendo
salato) si trova a quasi
4.000 metri d'altitudine. Vedo per la prima volta gli Yak e
sento il loro particolare verso. Alloggiamo presso un
affittacamere dell'Acted. Qui il padrone di casa ci racconta
che Europei e Americani possono uccidere una pecora di Marco
Polo (hanno delle corna lunghe e particolari e sono
diminuite paurosamente negli ultimi anni) pagando 50.000
dollari e portarsi a casa la testa come souvenir. La sera nella
casa una scena colpisce Claudio: oltre al marito anche la moglie
prega (entrambi musulmani). E' raro vedere una donna
musulmana pregare. Al nostro risveglio il mattino il termometro
segna MENO 23 GRADI. La suzukina fa non poca fatica a partire,
a causa del freddo ma anche della benzina annacquata e con
pochi ottani con cui probabilmente hanno riempito il
serbatoio.

Giovedi' 1 marzo arriviamo alla frontiera tagika. E'
situata a 4.000 metri di altitudine e assomiglia di piu' ad
una baracca che ad una frontiera. Ci accolgono nel loro
"ufficio", dove
c'e' un tavolo, una stufa e le loro brande ber dormire. In
meno di mezzora ci timbrano il passaporto e ci fanno
passare. In tagikistan i poliziotti e i militari ci hanno
fermato 22 volte in 10 giorni!
Ci dirigiamo verso la frontiera kirghisa che dista una
ventina di chilometri.
Arriviamo in dogana e anche qui l'ufficio dove scrivono i
nostri dati sul registro e' una camerata di letti piena di
militari. L'ufficiale kirghiso che dovrebbe apporre il
timbro d'ingresso nel paese sul nostro passaporto ci dice
nieto e areoporto di Osh. Cosi' senza un timbro e nessuna
dichiarazione per la macchina oltrepassiamo la frontiera. La
strada dal confine a Sary-Tash (20 km dopo) e' una pista di
neve dove procedendo a tutto gas speriamo di non rimanere
bloccati. Ci fermiamo solo per far passare un camion che
proveniva nella nostra direzione. Da Sary-Tash a Osh (circa
190 km) la strada e' un disastro...buche, asfalto rotto e
tratti di sterrato. Solo alcuni tratti di strada ci danno un
po' di sollievo.

Arriviamo a Osh in serata, cerchiamo un albergo, un cambia
valute per cambiare i somoni tagiki in som kirghisi e ci
rifocilliamo in un cafe'. Il mattino dopo (2 marzo) ci
rechiamo all'OVIR dove chiediamo per il timbro d'ingresso e
ci dicono che non c'e' nessun problema. Strano! Il giorno
dopo prima di partire per Bishkek ci rechiamo all'areoporto
di Osh, come consigliato dall'ufficiale in frontiera, ma
quando allo sportello "INFORMAZIONI" dell'areoporto ci viene
detto: "nieto information" ce ne andiamo. Proveremo a
risolvere il problema a Bishkek.

In due giorni (il 4 marzo) arriviamo a Bishkek. Troviamo
alloggio vicino al centro con il parcheggio per la Suzukina.
La sera decidiamo di andare a mangiare della pasta in un
ristorante italiano (basta carne e ravioli di capra e
cipolla!). Qui conosciamo Walter (il padrone del locale) e
Domenico. Ci raccontano un sacco di cose sul Kirghizistan e
passiamo con loro una piacevole serata. Walter se avremo dei
problemi ci potra' aiutare in frontiera per il timbro
d'ingresso che non ci hanno impresso sul passaporto.

Domattina partiamo da Bishkek diretti al lago Issyk-Kul...
Buon viaggio, a presto...

Patrizia

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