5.3.07


CLAUDIO (TAGIKISTAN, 3/03/2007)

Ciao Gente, siamo in un internet point a Bishkek, la
capitale del Kirghizistan.

Abbiamo percorso la strada del Pamir che parte da Dushanbe
in Tagikistan e arriva a Osh in Kirghizistan.

A Dushanbe abbiamo alloggiato a casa di Zarina, la ragazza
che si e' occupata dei permessi per il Pamir che ci
servivano. Siamo stati due giorni in citta' e poi via verso
le montagne.

A pochi chilometri dalla citta' la strada era gia' un
disastro. Abbiamo riempito il serbatoio e le taniche per
evitare di rimanere a piedi. La roba che avevamo sul tetto
l'ho spostata dentro al bagaliaio per evitare di sfondare il
portapacchi con la strada piena di buche.
Ci siamo persi due o tre volte prima di imboccare la via
giusta. Ogni dieci chilometri chiedevamo informazioni visto
che i cartelli sono inesistenti.

Il primo giorno abbiamo fatto 60 chilometri a vuoto. Abbiamo
mancato un incrocio e siamo finiti in una valle dove la
strada scorreva liscia e in pianura...troppa pianura...era
logico che eravamo fuori strada.

Siamo tornati indietro ed abbiamo imboccato la via giusta.
La strata cominciava a salire e diventare sempre peggio man
mano che si andava avanti. La strada procedeva su per una
gola, qualche frana ogni tanto e mucchi di neve che solo con
un 4x4 si potevano oltrepassare.
In alcuni punti ai lati della strada c'era qualche
carrarmato abbandonato dell'unione sovietica. Erano stati lasciati li
ad arruginire e allo sciacallaggio. Ci siamo ritrovati a
viaggiare al buio lungo quella stradina tra guadi e burroni.
Verso le nove abbiamo raggiunto un villaggio e abbiamo
imboccato una stradina che portava in mezzo alle case.
Abbiamo chiesto ospitalita' ad un signore che non si e' rifiutato di
aiutarci. Ci ha portato a casa sua dove c'era la moglie e un
sacco di figli... Sembrava di essere entrati in una sauna.
La stufa a legna era caricata al massimo e la moglie
cucinava la zuppa per la famiglia. Abbiamo passato la serata
a lume di lampade a petrolio e parlare in "russo" col marito
curioso di sapere come si viveva da noi. Ci hanno preparato
una camera da letto, probabilmente la loro, con la stufa a
legna e una montagna di coperte. La mattina abbiamo scattato
un po' di foto con la Polaroid, i bambini erano pieni di
gioia a vedere le loro facce impresse sulle foto. Quella
mattina c'erano -5 e i bambini erano fuori a giocare con la
maglietta a maniche corte mentre noi battevamo i denti.
Siamo ripartiti con un po' di dubbi visto che la sera il
marito ci aveva detto che la strada per il Pamir era chiusa.
Diceva che sul passo che distava 60 km c'era troppa neve e
non si passava.

Siamo andati avanti lo stesso, la strada era sempre peggio,
ormai era diventato un fuoristrada estremo. Dopo pochi
chilometri abbiamo incontrato un anziano in mezzo alla
strada che cercava un passaggio per raggiungere una moschea a 20
chilometri di distanza. Patrizia si e' andata a sedere nel
bagagliaio sopra agli zaini e l'anziano signore era seduto
affianco a me. Non diceva nessuna parola ma rispondeva alle
mie domande lentamente per farmi capire. Quando passavamo
davanti ai villaggi lo salutavano tutti.

Scaricato l'anziano davanti alla moschea abbiamo
proseguito ancora venti chilometri. Abbiamo raggiunto un
villaggio dove vendevano della benzina e abbiamo chiesto
informazioni sul Pamir. Brutte notizie..."la strada e'
chiusa, tornate indietro". Il passo di 3200 metri e' coperto
di neve ed e' tre mesi che la strada e' inagibile. La cosa
che mi ha fatto incazzare di piu' e' che i poliziotti che ci
avevano fermato il giorno prima probabilmente lo sapevano e
potevano anche avvisarci!

C'era pero' un alternativa, tornare indietro a Dushanbe e
prendere una strada alternativa che ci avrebbe portato a
Kalaikum, sulla strada del Pamir. Non eravamo molto
fiduciosi, sapevamo che il Pamir e' sopra i 4000 metri
quindi la strada poteva benissimo essere chiusa. Abbiamo
fatto 400 km a vuoto e siamo tornati indietro per imboccare
la strada che ci avevano consigliato. Abbiamo impiegato una
giornata a rifare la strada da panico e raggiunto nuovamente
l'asfalto in serata. La notte l'abbiamo passata in un
alberghetto con due tizi inquietanti che lo gestivano.
Abbiamo pagato 3 euro in due e abbiamo dormito dentro i
sacchi a pelo per evitare di prendere le piattole.

Il giorno dopo abbiamo raggiunto nuovamente i monti. Su
quella strada c'era un posto di blocco dei militari. Ci
hanno tenuti una mezz'ora per controllare i documenti e i
permessi per il Pamir. L'unica cosa utile e' che ci hanno
confermato che la strada per il Pamir era aperta. Poco dopo
un'altro posto di blocco della polizia dove ci hanno
scassato un po' le balle.

Nel pomeriggio abbiamo raggiunto la gola dove scorreva il
fiume Pyanj, il fiume che segna il confine tra il Tagikistan
e l'Afganistan. Dalla nostra parte c'era la strada sterrata
mentre dalla parte afgana un misero sentiero dove la gente
si spostava a piedi e con asini carichi di provviste e
legna. Ci divedeva un fiume largo una ventina di metri. I
villaggi afgani erano simili a quelli tagiki. In un punto,
dove il fiume scorreva meno impetuoso alcuni tagiki
contrabbandavano con gli afgani. Dalla parte tagika c'erano
dei camion fermi e dalla parte afgana gente con gli asini
carichi. Trasportavano del materiale su una zattera di
legno. Non sapevamo cosa fosse ma non sembrava nulla di
legale.

Lungo il confine dalla parte tagika c'erano molti posti di
controllo dei militari. Solitamente i milatari erano divisi
in coppie e camminavano lungo il confine controllando che
nessun afgano attraversasse il fiume. Tutto il confine era
minato. Ogni tanto c'erano i cartelli che indicavano il
pericolo di mine anti uomo e invitavano la gente a non
uscire fuori strada per non fare il botto.

Era ormai diventato buio e la strada in condizioni peggiori.
In alcuni punti usavo le ridotte per non sforzare troppo la
frizione. Ad un posto di blocco militare abbiamo regalato
della benzina per il generatore. Erano rimasti al buio e
aspettavano che passasse qualcuno per ciucciare un po' di
benzina dal serbatoio e riavere la luce. Nei villaggi
usavano le lampade a petrolio e cosi' facevano anche gli
afgani. Molte volte si vedevano i falo' dell'Afganistan o la
gente con le torce che tornava a casa con la legna e le
provviste.

Dopo ore di strada devastata abbiamo raggiunto l'ennesimo
posto di blocco, il nono della giornata. Patrizia mi
aspettava in macchina e io sono andato a portare i
passaporti dentro quell'edificio semi abbandonato. Dovevo
fare luce con la torcia in modo che l'ufficiale potesse
scrivere i nostri dati sul registro. Poi le solite domande
su cosa trasportavamo, se avevamo armi o droga e poi si
poteva ripartire. Mancavano 65 km a Kalaikum, ero cotto e la
strada era un disastro. Non potevamo fermarci a dormire in
tenda o in macchina altrimenti i militari ci avrebbero
svegliato e mandato via. Lungo la strada del Pamir c'e' un
gran traffico di oppio che arriva dall'Afganistan quindi
lungo quella strada non e' consigliato fermarsi a
campeggiare.

In un tratto di 40 km la strada e' diventata uno splendore,
un asfalto perfetto, marciapiedi e cartelli che indicavano
qualunque cosa. Una strada migliore di quelle europee. Il
motivo era assurdo....dalla parte afgana c'erano molti piu'
villaggi e avevano la corrente elettrica quindi i tagiki
hanno pensato bene di far vedere che da loro si sta meglio e
hanno la strada perfetta. Finiti i villaggi afgani e'
ricominciata una gran strada di merda che ci ha accompagnati
fino a Kalaikum. Ero ormai cotto e non vedevo l'ora di
trovare un letto. Una ONG chiamata ACTED ha fatto un
progetto sulla strada del Pamir. Praticamente ci sono degli
affittacamere che hanno dei prezzi fissi lungo tutta la
strada del Pamir. Pagando pochissimo avevamo cena, colazione
e un letto per dormire.

A Kalaikum abbiamo fatto il primo pieno di benzina. Non
hanno corrente elettrica quindi tengono la benzina dentro i
bidoni e per fare rifornimento alle macchine usano imbuti e
secchi da dieci o cinque litri. Vendono la benzina da 92 o
95 ottani anche se in realta' sara' da 80 ottani diluita con
l'acqua. Dei camioncini con la cisterna vanno a rifornire i
benzinai che poi a loro volta riempono taniche o diluiscono
a loro piacimento. C'e' solo quella benzina quindi prendere
o lasciare.

Dopo il rifornimento ci siamo dovuti registrare alla
stazione di polizia. Una assurdita' del Pamir e' quella.
All'ultimo posto di blocco prima di una citta' ci
registravano tutti i dati e poi ci dicevano di registrarci
alla stazione di polizia una volta raggiunta la citta'. La
registrazione non e' altro che scrivere i nostri nomi sul
registro e controllare i permessi per il Pamir.

La strada e' migliorata molto dopo Kalaikum, riuscivamo a
mantenere i 30 km/h e non usare le ridotte. Abbiamo
costeggiato l'Afganistan ancora per 240 km. Dalla parte
afgana i sentieri molte volte erano scavati sulle pareti rocciose con ponti
costruiti con tronchi e sassi. In molti punti gli afgani
dovevano scaricare gli asini e proseguire a piedi
caricandosi le provviste sulle spalle. Una volta passato il
punto critico ricaricavano l'asino e proseguivano il
cammino. Lungo il confine continuavano le marce dei militari
e non mancavano i cartelli che segnalavano le mine anti
uomo. Molte volte i militari ci facevano segno di accostare
e ci chiedevano biscotti o sigarette.

Nel tardo pomeriggio abbiamo raggiunto Khorog. Una citta' a
2100 metri dove si trova il ponte che attraversa il fiume e
conduce in Afganistan. Abbiamo dormito in un albergo,
l'unico che aveva l'acqua calda. La notte sono stato male,
avevo un po' di febbre e non sono riuscito a dormire. La
mattina ho fatto un po' di manutenzione alla povera Susi.
Con la strada in quelle condizioni c'erano un po' di
lavoretti da fare. Con le vibrazioni si era rotta la staffa
che teneva un faro di profondita', il portapacchi stava
sfonando il tetto quindi ho tolto le ultime cose che avevo
lasciato dentro il baule per alleggerirlo ancora di piu'.
Mentre sistemavo la suzukina ho letto una scritta sul
finestrino..."UN SALUTO DA UN ALTRO GENOVESE, KHOROG
26-02-07".
Che figata, un'altro genovese per il mondo! Peccato che non
lo abbiamo conosciuto. Finita la manutenzione siamo andati
all'OVIR per la registrazione che ci e' costata ben 20 dollari a testa.

Ero abbastanza mal preso ma avevamo voglia di ripartire e
cosi' abbiamo fatto. La strada dopo pochi chilometri era
coperta di neve e il passaggio di fuoristrada era calato
notevolmente. Si procedeva bene, riuscivamo a mantenere una
media superiore ai 30 km/h, alle volte toccavamo i 40. Lungo
la strada non mancavano i villaggi e la gente rideva e ci
salutava. I tagiki sono persone squisite, un po' come tutte
le persone che vivono sulle montagne. Per salutare si
mettono una mano sul petto e poi tendono la mano per toccare
la mia. Solitamente la mano la davano solo a me e non a
Patrizia. Anche i poliziotti mi davano sempre la mano e
molte volte non controllavano neppure i documenti.
In un altro rifornimento con secchi e imbuti abbiamo
riempito il serbatoio. I trenta litri di benzina nella
tanica non volevo usarli perche' li tenevamo per le
emergenze.

Quel giorno abbiamo fatto 140 chilometri e piu' di 2000
metri di dislivello. Abbiamo raggiunto Jelandi, un villaggio
di poche case prima di un passo di 4200 metri. C'era un
alberghetto con le acque termali. Abbiamo aspettato fuori
una mezz'ora che arrivasse il padrone. L'edificio sembrava
abbandonato, dentro c'era un gatto, l'unico essere vivente
li dentro. C'era una grossa vasca piena di acqua calda e una
gran puzza di uovo marcio in tutto l'edificio. A noi andava
bene, era caldo e pagavamo 4 euro in due. Il gatto era un
gran rompi maroni. Era il boss dell'albergo, entrava in
camera e se non lo consideravamo diventava insopportabile. Sulla
parete nel corridoio c'era un buco fatto da un topo e il
gatto passava la giornata ad aspettare che uscisse per
acciuffarlo...era patetico...magari il topo era gia' morto
da 10 anni...

Verso le nove di sera Patrizia ha cominciato a stare male,
il mal di montagna.
Probabilmente 2000 metri di dislivello in un giorno sono
parecchi ma non c'era altro posto per fermarsi prima e
andare piu' lentamente significava raggiungere Jelandi di
notte ed era pericoloso visto la strada coperta di neve.

Si e' coricata in letto e io mi sono preparato la pastina
con il fornello a benzina chiuso nel bagno.

La notte mi e' risalita la febbre e ho dormito davvero male.
Avevo la temperatura a 37.4 ma mi sembrava di averla a 39.
Ero uno straccio, male alle ossa e giramenti di testa.

La mattina e' stato traumatico accendere la suzukina.
C'erano -12 dentro la macchina e di partire non aveva la
minima intenzione. C'e' voluto un quarto d'ora per riuscire a
metterla in moto. Perdeva olio dal filtro e scendeva denso
come nutella. Al quinto tentativo ho aperto il cofano e il
motore era completamente coperto di neve. Di notte c'era
stato molto vento e la neve era entrata dalle fessure del
cofano. Ho pulito le pipette e lo spinterogeno e dopo
svariati tentativi e' partita. L'abbiamo scaldata un oretta
prima di ripartire.

Prima di avventurarci verso il passo siamo tornati indietro
un paio di chilometri in modo che scendendo di qualche metro
a Patrizia sarebbe passato il mal di montagna. Siamo stati
un quarto d'ora fermi, tempo sufficiente per capire che
nessuno era passato su quella strada. Eravamo i primi della
giornata a salire sul passo. Non era molto rassicurante, il
vento soffiava forte e ammucchiava la neve in mezzo alla
strada. Su dal passo procedevamo in prima, tra l'altitudine
e la benzina anacquata la suzukina aveva la potenza di un
ape 50! Sulla strada si formavano dei mucchi di neve quindi
non ho mollato l'acceleratore un attimo per non rischiare di
rimanerci. Tutta a fuoco per un paio di chilometri con il
risultato che la povera bestia e' andata in
ebolizione...sono sceso e con il coltello ho tagliato la
mascherina di gomma in modo che si rafreddasse il radiatore.
Fuori c'erano -15 e il vento soffiava forte. Abbiamo
raggiunto il passo di 4271 metri come dei pionieri...il
peggio lo avevamo passato. La strada e' scesa lentamente e
le montagne si sono ritirate formando il magnifico altopiano
del Pamir. Assieme alle montagne si e' ritirata anche la
neve, troppo freddo per nevicare. Le montagne attorno erano
appena spruzzate di bianco, se non fosse stato per il vento
che la trasportava non ce ne sarebbe stata. Abbiamo
viaggiato ore senza incontrare anima viva, alcune case lungo
la strada erano abbandonate, in altre invece c'era del fumo
che usciva dai camini.

Il Pamir e' considerato il tetto del mondo, da qui partono
le piu' alte catene montuose del mondo, tra cui l'Himalaya,
il Karakoram, l'Hindu Kush e il Tian Shan.

Il panorama variava continuamente, peccato il cielo coperto
di nuvole e il vento forte. Alle porte di un villaggio a
4000 metri c'era un camion infossato nella neve, abbiamo
aspettato una mezz'ora che si liberasse la strada e poi con
una bella rincorsa siamo riusciti a oltrepassare l'ostacolo.

Nel bel mezzo del niente, a -15 e un vento che portava via
abbiamo avuto la bella idea di cucinarci la pastina...il
fornello non riusciva a far bollire l'acqua e noi
rischiavamo
l'assideramento facendo da paravento al fornello.
Un pranzo coi fiocchi!!
Mentre smontavo il fornello e risistemavo la roba Patrizia
cercava invano di lavare la gavetta, non faceva in tempo a
versare l'acqua che si gelava...alla fine ha rinunciato.

Il secondo passo della giornata era di 4314 metri ma era
molto piu' semplice di quello fatto al mattino. In serata
abbiamo raggiunto Murgab e ci siamo alloggiati sempre da un
affittacamere. La sera ho smontato la batteria della Susi
per evitare di rimanere a piedi il giorno dopo. La mia
febbre non passava mai, durante il giorno stavo bene, ero
sempre concentrato sulla strada ma appena mi rilassavo un
po' mi sentivo uno straccio. Quella notte, in quella casa,
c'erano anche due francesi che erano venuti sul Pamir in
vacanza. Loro lavoravano per un associazione a Kabul in
Afganistan. La mattina la temperatura era scesa sotto i -20
ed abbiamo aspettato che salisse di qualche grado prima di
rimontare la batteria e provare ad accendere la suzukina.
Una volta in moto siamo andati a fare rifornimento. Una
signora teneva delle taniche di benzina dentro il suo
cortile. Abbiamo comprato 25 litri di benzina ma l'ultima
tanichetta da 5 litri sono convinto che era almeno 50%
d'acqua.
Abbiamo riempito il serbatoio e siamo ripartiti verso il
penultimo passo del Tagikistan, 4655 metri, il piu' alto.
La potenza della suzukina era davvero imbarazzante, se mi
fermavo in salita non riusciva piu' a ripartire...molte
volte servivano le ridotte per ripartire.

Verso il passo c'era molta neve quindi entravamo a fuoco
dentro i mucchi di neve con la speranza di non rimanerci
infossati. Sarebbe stato un guaio visto che nessuno passava
su quella strada. Prima di raggiungere il passo mi sono
accorto che alla povera bestiola si era rotta una
balestra...bel danno ma al momento nessuno sarebbe stato in
grado di riparare.

Nel pomeriggio abbiamo raggiunto Karakul. Prima di entrare
nel villaggio c'era l'ennesimo posto di blocco. Mentre un
poliziotto scriveva i dati sul registro un altro cercava di
vendermi dei rubini. Fanno qualunque cosa per guadagnarsi
qualche soldo.

Karakul e' un villaggio che sorge sull'omonimo lago che e'
ghiaggiato da novembre a maggio. Qui abbiamo alloggiato da
un altro affitacamere. Era una bella famiglia, molto gentili
come tutti i tagiki. Erano marito e moglie con un bambino.
Il bimbo molte volte piangeva perche' aveva mal di
testa per l'altitudine ma quando stava bene era una peste.
C'era un torello nel villaggio e lui lo e' andato a prendere
e se l'e' chiuso nel cortile nonostante la sua mamma gli
diceva di portarlo fuori.
La sera ho nuovamente smontato la batteria e messa nella
stanza con la stufa a legna. Abbiamo cenato con loro e
parlato del piu' e del meno. Il marito ci spiegava che molti
stranieri ma sopratutto americani vanno li per cacciare le
pecore di Marco Polo. Per poter sparare a una di queste
bestie bisogna avere un permesso che costa la bellezza di
50000 dollari!
Un po' come in Africa con gli elefanti, e' vietato ma se si
paga si puo' abbattere una bestia.

La mattina alle 7 quando sono sceso in bagno c'erano -23
gradi. La
latrina era a 50 metri da casa e ho rischiato
l'assideramento per fare la pipi'!!
La suzukina e' partita per miracolo... Ho provato almeno 20
minuti a metterla in moto ma appena si accendeva si spegneva
immediatamente. Probabilmente la benzina nel serbatoio era
al massimo 80 ottani senza considerare la percentuale
d'acqua che c'era. E' stato emozionante quando finalmente si
e' accesa...povera la mia bestiolina.

La strada ha costeggiato la Cina per molti chilometri. A
differenza con l'Afganistan che c'era un confine naturale
qui i cinesi hanno costruito un recinto di filospinato che
neanche un animale potrebbe oltrepassare. In alcuni punti
pero' qualcuno ha tagliato la recinzione ed ha
sconfinato.

Abbiamo raggiunto il confine kirghiso in mattinata e la
frontiera non
era altro che una baracca di lamiera. Gli ufficiali hanno
controllato il bagaglio e timbrato il passaporto,
arrivederci Tagikistan. La frontiera kirghisa era a 20 km.
La strada scendeva giu' per la valle e peggiorava man mano
che andavamo avanti. Gli ufficiali alla dogana erano
simpatici, hanno segnato i dati della macchina, chiesto se
avevamo droga o armi e poi via all'immigrazione. Qui c'era
un ufficiale ciccione e cretino che non ci ha fatti nemmeno
entrare dentreo l'edificio. Abbiamo insistito inutilmente
per avere un cazzo di timbro di ingresso sul passaporto ma
non
c'e' stato verso. La sua risposta e' stata "NIETO"...lo
avrei strozzato! Siamo cosi' entrati in un paese senza
timbro sul passaporto e senza dichiarazione del mezzo...come
cazzo facciamo ad essere qui nessuno lo sa...perfetto. Sara'
un bel casino alla frontiera quando usciremo.

Eravamo tanto preoccupati per il Pamir ma la strada peggiore
iniziava adesso... Abbiamo percorso 20 km in una strada con
mezzo metro di neve dove passavano solamente alcuni camion
diretti sul Pamir. Quei 20 km gli abbiamo fatti tutti a
fuoco in prima e seconda sperando di non rimanere infossati.
Il differenziale continuava a raschiare sulla neve,
sembravamo un piccolo spazzaneve. A meta' strada abbiamo
incrociato un camion che ha fermato la nostra corsa. Con le
ridotte e un po' di manovre siamo riusciti a rimetterci
sulla pista e raggiungere finalmente la strada decente.
Abbiamo fatto ancora due passi di 3500 metri prima di
raggiungere Osh, la prima citta' kirghisa, la fine del
Pamir.
Ora facciamo riposare un po' il mostriciattolo e poi si
riparte!

Ciao Gente!

Claudio

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